Ramai di Tossicia
Nella zona di Tossicia, antica capitale della Valle Siciliana, esistevano nel secondo dopoguerra più di quaranta botteghe di lavorazione del rame, distribuite in particolare nella frazione di Chiarino e nell’immediato circondario, dove operava fin dal XIX secolo un’officina di fusione del rame curata dai fratelli Marconi, poi soppiantata dalla ramiera di Villa Tordinia, vicino Teramo, a partire dal 1857.
La pratica ha origini molto antiche nell’area dell’Italia centrale, e l’impiego del rame ha corrisposto per millenni alle necessità di una cultura fondata sull’agricoltura e l’allevamento, per la realizzazione di recipienti adatti non solo al contenimento e al trasporto ma anche alla cottura dei cibi, grazie alla sua conduttività al calore. Questo utilizzo ha di riflesso condizionato e trasformato anche la cultura alimentare, portando alla produzione di molteplici varietà di contenitori e utensili, adatti ai più diversificati scopi.
La conca antropomorfa abruzzese studiata da Paolo Toschi e Giuseppe Profeta, tra i più noti recipienti realizzati tramite lo stiramento e la battitura del rame, a struttura biconica e a strozzatura alta e accentuata, dotata di ampi manici, era ad esempio utilizzata per il trasporto e la conservazione dell’acqua di uso domestico, prima che la distribuzione idrica raggiungesse capillarmente le case a partire dalla seconda metà del secolo scorso.
A partire dalla lamina e dal semilavorato ottenuto dalle ramiere tramite strumentazioni meccaniche azionate ad acqua e forni di fusione, oggetti preziosi e indispensabili come la conca erano realizzati attraverso una ripetitiva successione di lavorazioni interdipendenti, trasmesse nelle famiglie dei ramai di Chiarino e di Tossicia fino a pochi decenni fa. Fausto e Domenico Vignoli, Aldo Tudini, Angiolino Di Girolamo, Achille Urbani, tutti residenti a Chiarino o nella contigua Palozza, battevano il rame incessantemente, con martelli in legno di fico o in acciaio lucido, aiutandosi con due diversi cavalletti in legno, uno con piastra metallica e un secondo dotato di incudine a colonna.
L’attività dei ramai o calderai era in passato anche itinerante: esportavano oggetti e manodopera, frequentavano fiere e mercati, si spostavano per effettuare riparazioni e stagnature in una vasta area dell’Italia centro-meridionale, verso il Molise, il Lazio e le Marche.
Dall’alba al tramonto, con cadenza delicata e incessante, il battito sonoro dei ramai si propagava nelle campagne di Tossicia, fra Chiarino, Palozza e Paduli, popolando la valle di colpi e rintocchi metallici. Era un suono familiare e rassicurante, parte integrante del paesaggio e della vita sociale; via Batterame e via Calderai sono i segni ancora tangibili lasciati da questa secolare pratica artigiana, in piccoli borghi rurali dove le botteghe del rame e quanto gravitava attorno ad esse costituivano il cardine quotidiano di riconoscimento delle comunità.
Potete ammirare alcuni manufatti nel Museo delle Genti del Gran Sasso a Tossicia presso il palazzo Marchesale: https://valledelgransasso.it/esperienze/musei-e-biblioteche/museo-tossicia