Castelli - Castello di Pagliara
Castelli - Castello di Pagliara
Livello di difficoltà
- T Turistico
- E Escursionistico
- EE per Escursionisti Esperti
- EEA per Escursionisti Esperti, con Attrezzature
Adatto a piedi
Adatto in Mountain Bike
- Altitudine minima
- 526 m
- Distanza totale
- 5.7 km
- Altitudine massima
- 1009 m
- Tempo totale
- 1h 07m 54s
- Dislivello totale
- 1212 m
- Punti di interesse
- 0
- Perdita di quota totale
- 822 m
- Punti del percorso
- 985
- Velocità massima
- 3.8 m/s
- Indicazioni stradali
- 0
- Velocità media
- 1.4 m/s
Scheda Tecnica
Difficoltà | T (turistico) |
Impegno Fisico | ** |
Bellezza | **** |
Segnaletica | RBR - RGR |
Quota di partenza | 500m s.l.m |
Quota di arrivo | 980m s.l.m. |
Dislivello positivo | // |
Dislivello negativo | 716- |
km | 11,2 |
Tempo di percorrenza | 4h |
Rete telefonica | Sempre presente |
Fonti di acqua | No |
Punti di appoggio (rifugi o bivacchi) | No |
Adatto per famiglie | Si |
Periodo consigliato | Primavera-Autunno-Estate |
Descrizione
Punti di Interesse
Castelli di borgo
Un affascinante piccolo borgo di origine medievale, costruito su uno sperone roccioso tra i dirupi, i boschi e le crete di due torrenti. È il paese di Castelli che sorge ai piedi del Gran Sasso, circondato da un imponente anfiteatro di montagne, al quale fa da scena un paesaggio di dolci colline degradanti verso il mare. Un luogo talmente affascinante da entrare a far parte del club dei Borghi più belli d’Italia. Le abitazioni tipiche del borgo sono sostenute da imponenti arcate in pietra, che arricchiscono il centro abitato del fascino tipico dei paesi montani. .
L’abitato più antico di Castelli converge, con le sue vecchie stradine, verso la piazza centrale, su cui si affacciano il Comune e la parrocchiale di San Giovanni Battista con la sua monumentale scalinata in pietra bianca e le due imponenti colonne laterali. Edificata alla fine del Cinquecento, la chiesa conserva al suo interno la suggestiva cappella della Santa Croce. L'arte ceramica di Castelli ha origini antichissime, ma è divenuta celebre nel Cinquecento. Furono la buona fattura delle maioliche, le decorazioni vivaci, ma anche l'economicità dei prodotti, dovuta a innovativi sistemi produttivi, che fecero di Castelli uno dei centri più apprezzati per quest'arte, soprattutto nel Seicento ed il suo ruolo nella storia della maiolica italiana è di primissimo piano, specialmente nel periodo che va dal XVI al XVIII secolo.
Chiesa di San Donato
Nata anticamente come cona, ossia chiesetta di campagna, sorge a Castelli, appena fuori dal borgo, su una leggera altura. Nel 1963 questa chiesa fu definita dallo scrittore Carlo Levi la Cappella Sistina della Maiolica, per via del soffitto interamente costituito di tavelle decorate a maiolica, di dimensioni 20x40 cm, in circa 1000 (attualmente 800) esemplari, risalenti al 1615-1617 circa.
Il soffitto si deve agli abitanti di Castelli che lo realizzarono per devozione, come attesta una scritta latina dipinta su una sequenza di mattoni, che dice: “le genti della terra di castelli fecero questo soffitto ad onore di Dio ed allo stesso tempo a perpetua memoria della Beata Vergine Maria”. I maiolicari castellani riuniti in una confraternita attuarono questo progetto per produrre un'opera che tramandasse ai posteri una testimonianza dell’alta qualificazione raggiunta dalla loro categoria. Realizzarono così una vera e propria volta maiolicata composta da oltre 800 mattoni recanti le date 1615, 1616, 1617.
La struttura del grande soffitto è costituita da travi che dividono le capriate spioventi in comparti dove sono allineate file di cinque mattoni, trattenuti da travicelli. Il nuovo soffitto andò a sostituirne uno più piccolo e antico, risalente al cinquecento. Quest’ultimo soffitto, era ugualmente costituito da un pregevole mattonato maiolicato che, in tale circostanza, fu in gran parte riutilizzato per pavimentare un’area posta all’interno della nuova chiesa. Per lungo tempo i mattoni cinquecenteschi utilizzati per detta pavimentazione furono sottoposti al calpestio e vennero danneggiati. Tuttavia, nel secolo scorso furono prelevati dalla chiesa e trasferiti nel Museo delle Ceramiche di Castelli, dove sono attualmente custoditi ed esposti al pubblico. Opera unica nel suo genere, è in parte esposta al Museo della ceramica di Castelli che conserva le tavelle rotte o deteriorate. La realizzazione viene attribuita ai ceramisti della famiglia Pompei, in particolare ad Orazio Pompei, anche se l'opera di decorazione della chiesa fu un lavoro che coinvolse tutti i decoratori del paese. Il risanamento e il restauro fu realizzato a cura delle Antiche Fornaci Giorgi, attorno al 1972. I temi raffigurati sulle mattonelle sono vari: simboli araldici, animali apotropaici, scritte religiose e modi di dire, decorazioni floreali, disegni geometrici semplici.
Museo delle Ceramiche di Castelli
Il museo raccoglie numerose opere donate principalmente dai cittadini di Castelli, che appartengono ad artisti provenienti da celebri famiglie (come i Grue, i Gentili, i Cappelletti ed i Fuina) e che coprono un periodo che va dall'alto medioevo ai giorni nostri.
Il museo, che dal 1984 aveva sede nel Chiostro dell'ex Convento dei Francescani (attualmente inagibile a causa del terremoto dell'Aquila del 2009), è ospitato nella sede del Palazzo Municipale dell'Artigianato, che era organizzato su due piani. Il piano terra ospita la sezione archeologica con anfore ed opere in terracotta dal IV al I secolo a.C. Al piano superiore è organizzato un percorso che illustra la storia dell'arte ceramica a Castelli, dal medioevo, al rinascimento, al barocco, fino alla metà dell'Ottocento con i motivi della porcellana tipici dell'epoca.
L'edificio museale è ospitato nell'antico convento dei Frati Minori Osservanti del XVI secolo, il convento ha ospitato sino al 1866 i frati, successivamente dopo la soppressione divenne deposito, nel 1905 ha ospitato la prima sede dell'Istituto statale d'Arte "Francesco Antonio Grue", per divenire infine museo. Diviso in due piani, al pianterreno si può osservare il chiostro rinascimentale circondato da un ciclo d'affreschi del 1712, di ispirazione barocca, a 21 lunettoni con episodi della vita di Maria madre di Gesù, ogni lunetta è intercalata da medaglioni raffiguranti volti di santi e beate che hanno dedicato la loro vita all'opera religiosa.
Il percorso si svolge nelle sale dove è stata ricostruita una ideale bottega del XVI-XVII secolo, per far comprendere il lavoro manuale che si svolgeva nel realizzare ogni singola opera da parte dei Grue e dei Gentili, è possibile vedere vecchie vasche della decantazione dell'argilla, la frantumazione e la realizzazione dell'argilla malleabile, poi ancora le varie tecniche di foggiatura, smaltatura e decorazione dell'oggetto, e infine la riproduzione dell'antico forno per la cottura del manufatto, detto "forno a respiro". Al primo piano si ospita in ordine cronologico la collezione di opere dei maestri ceramisti dal 1400 al 1900, si documenta l'evoluzione delle manifatture castellane dal Medioevo attraverso il Cinquecento, e il compendiario e l'istoriato castellano, con le opere dei maggiori esponenti di questo lungo percorso artistico, che ha reso famoso il nome di Castelli.
Sono esposti anche reperti archeologici di ceramiche italiche di commercio, di derivazione appula, corinzia, attica, dauna, etrusca e romana. Il nucleo originario delle collezioni appartiene alla "Raccolta civica" di Giancarlo Polidori degli anni trenta e quaranta, quando era direttore della scuola d'arte, via via arricchito da importanti depositi di enti pubblici (Regione Abruzzo e Museo nazionale d'Abruzzo) e di donazioni di collezioni private, tra cui la Fuschi e la Nardini, e dalle acquisizioni effettuate periodicamente. Nella prima sono esposti frammenti di scavi raccolti sul territorio castellano e una piccola testimonianza di piastrelle da pavimento e da rivestimento di epoche diverse. Nella seconda sala sono esposti due piatti medievali di ceramica ingobbiata graffita, recuperati nella grotta Sant'Angelo (Teramo), e un boccale frammentato appartenente alle produzioni della metà Cinquecento; essa è dominata da 200 mattoni provenienti dalla primitiva cappella di San Donato, appena fuori Castelli, e si possono ammirare solo nel Museo di Castelli, dato che i mattoni del soffitto della chiesetta sono solo delle copie, onde evitare ulteriori danneggiamenti del tempo o furti.
I mattoni sono messi a confronto con i vasi farmaceutici commissionati dalle famiglie Orsini e Colonna, a testimonianza delle analogie stilistiche che hanno consentito negli anni ottanta di attribuire alle manifatture della bottega Pompei questa importante produzione cinquecentesca. Si tratta di un corredo farmaceutico la cui produzione era assegnata di volta in volta ai più noti centri italiani di produzione ceramica fino a quando non furono reperiti frammenti di scavo nella discarica della fornace Pompei, che misero termine alla disputa. Nella sala è esposta la Madonna del Latte col Bambino di Orazio Pompei, che reca la datazione 1551, rubata negli anni settanta dalla sala consiliare del Municipio di Castelli, ritrovata sul mercato antiquario negli anni novanta, manomessa in moto irreversibile, ma restaurata per quanto possibile.
Il periodo a cavallo tra Cinquecento e Seicento, in cui domina lo stile compendiario, c'è una pittura semplice di sintesi, come denuncia il nome, nei toni languidi del giallo, dell'arancio, del verde e del blu, della tavolozza castellana non ancora arricchita dal bruno di manganese. La quarta e la quinta sala contengono una significativa documentazione dell'istoriato castellano con una serie di opere di pittori appartenenti alle varie dinastie del paese: i Grue, i Gentili, i Cappelletti, i Fuina, che dal Seicento all'Ottocento mantennero alto il prestigio delle produzioni.
Castello di Pagliara
Pagliara è l’altura situata a Sud-Est di Isola del Gran Sasso, in cui è collocato il Castello omonimo, ora diruto. La famiglia dei conti di Pagliara, che dette illustri personaggi all’antico Regno di Napoli, vi abitò per diversi secoli: Dal Catalogus Baronum (1150 – 1168), risulta che Oderisio di Collepietro possiede Palearia.
Nel 1248 Innocenzo conferma a Gualtiero de Palearia, conte di Manoppello il possesso dei beni avuti dal re di Sicilia. Dal principio del XVIII° secolo i pochi villaggi raccolti sotto il nome di Pagliara fanno parte del comune di Isola del Gran Sasso. Della famiglia, veramente di origine pennese, esiste nell’archivio vescovile di Teramo, una nomina, del 1774, dell’ultima marchesa della Valle, che reca anche il titolo di “comitissa Paleareae ”: eredi ne sono i Caracciolo, principi di Torella, nello scorcio del secolo XVIII°.
Oggi del Castello rimangono solo pochi resti delle strutture medievali, costituite da grossi blocchi calcarei irregolari connessi da malta. Vi sono tracce di bastioni circolari, frutto di rifacimenti forse cinquecenteschi. Dove le mura raggiungono un’altezza di circa due metri si vedono le imposte di crociere. Il castello possedeva uno schema allungato, a cannocchiale, condizionato dall’andamento dell’altura su cui era stato costruito. Tra i ruderi è visibile la chiesetta di Santa Maria di Pagliara (XII° sec.) che presenta una muratura in pietra e malta coperta da un intonaco a superficie rustica, e una copertura a struttura lignea ad un solo spiovente. Nella prima domenica dopo Pasqua la chiesetta è meta di una festa religiosa molto sentita.
E’ una graziosa chiesetta a stanza rettangolare e tetto a spiovente unico. In facciata si alza un piccolo campanile a vela per una campana, attualmente custodita all’interno della chiesa. Su di essa si legge Fusa in Loreto Aprutino – 1874 - Marcello Della Noce. La costruzione del castello risalirebbe al IX secolo, mentre della chiesetta, seppure probabilmente coeva del castello, si hanno le prime notizie nel 1324, ed il suo nome originario era "Sancte Marie de Paliaria”. Ricostruita a partire dal 1825 da fra’ Nicola Torretta, l’ultimo eremita del Gran Sasso che dimorò a lungo nel eremo di Frattagrande, è composta di due stanze, di cui una più grande propriamente destinata al culto, ed una decisamente più piccola, aggiunta da fra’ Nicola per poterci abitare. L’accesso è sul lato corto che guarda verso Nord ed è facilitato dalla presenza di alcuni rozzi gradini. .
Per chi vuole arrampicare, esplorare le alte quote o affrontare una gita in montagna, consigliamo di farlo in compagnia di una guida locale. Gli accompagnatori di media montagna e le guide alpine sono l'unica figura professionale abilitata all'accompagnamento su terreno di media e d'alta montagna ed all'insegnamento dell'alpinismo ( su ghiaccio e roccia) e dello sci alpinismo.
Le esperte guide e accompagnatori del nostro Gran Sasso, che conoscono il territorio da quando erano ragazzini, vi mostreranno i posti più belli e segreti e sapranno trasmettervi la passione ed il rispetto per la montagna.
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La Compagnia delle Guide Gran Sasso d'Italia:
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